L’estate era iniziata, i campi agitavano le loro spighe dorate mentre il fieno tagliato profumava la campagna. In un luogo appartato nascosta da fitti cespugli vicini ad un laghetto, mamma anatra aveva iniziato la cova delle uova…
Così comincia la fiaba di Hans Christian Andersen pubblicata nel 1845. Tema di questa fiaba è quello dell’esiliato, del non appartenente, colui che non si sente a proprio agio nella famiglia d’origine, forse non desiderato e quindi maltrattato, spesso umiliato, ferito e sbeffeggiato, a volte ridicolizzato. I suoi bisogni non possono essere considerati perché nella cova, lui, probabilmente, è di troppo e mette in difficoltà il sistema familiare stesso.
Nasce, quindi, con il peccato di essere nato.
Il problema vero dell’anatroccolo non è lui ma le condizioni inadeguate della famiglia di appartenenza, madre e padre, unite a quelle sociali. Invece che su se stessi, madre e padre puntano il dito verso l’anatroccolo che inizia a essere definito come: “strano” “ridicolo”, “pazzo”, “visionario”, “fuori” tutte le volte che cerca di esprimersi, di condividere la propria verità e la propria natura.
La piccola comitiva camminò faticosamente fino al laghetto e gli anatroccoli salutarono le altre anatre
– oh! Guardate! i nuovi venuti.. come se non fossimo già numerosi .. e questo anatroccolo grigio non lo vogliamo! – disse una grossa anatra, morsicando il poverino sul collo –
– Non fategli male! – Gridò la mamma anatra furiosa
– E’ così grande e brutto che viene voglia di maltrattarlo! – Aggiunse la grossa anatra con tono beffardo.- E’ un vero peccato che sia così sgraziato, gli altri sono tutti adorabili, – rincarò la vecchia anatra che era andata a vedere la covata.
– Non sarà bello adesso, può darsi però che, crescendo , cambi; e poi ha un buon carattere e nuota meglio dei suoi fratelli, – assicurò mamma anatra, –
-La bellezza, per un maschio, non ha importanza, – concluse, e lo accarezzò con il becco – andate, piccoli miei, divertitevi e nuotate bene!-
Tuttavia, l’anatroccolo, da quel giorno fu schernito da tutti gli animali del cortile: le galline e le anatre lo urtavano, mentre il tacchino, gonfiando le sue piume, lo impauriva.
Nei giorni che seguirono, le cose si aggravarono: il fattore lo prese a calci e i suoi fratelli non perdevano occasione per deriderlo e maltrattarlo.
Molto spesso lo stigma dell’anatroccolo viene rafforzato dall’ambiente circostante: possono essere figure di riferimento quali insegnanti, amici, parenti.. I genitori sono del tutto incapaci di difendere e proteggere il cucciolo che, essendo ancora piccolo, è troppo precocemente esposto a traumi psicologici continui e incessanti, a soprusi che, come lame affilate, lacerano da principio la delicata personalità in evoluzione dell’anatroccolo, privandolo ferocemente e precocemente di uno dei più importanti bisogni fondamentali dell’uomo: una sana autostima derivante da un sano e piacevole nido di cura e amore dove sentirsi amati, accettati, protetti e difesi.
Il piccolo anatroccolo era molto infelice. Un giorno, stanco della situazione, scappò da sotto la siepe.
Gli uccelli, vedendolo, si rifugiarono nei cespugli. “sono così brutto che faccio paura!” pensò l’anatroccolo.
L’anatroccolo a seguito delle continue e ripetitive incursioni, soprusi e affronti inizia a credere vero ciò che si dice di lui. Sorge in lui un vero e proprio sospetto che man mano si rafforza e automaticamente viene confermato da registrazioni interiorizzate: sensazioni di inadeguatezza, di malvagità, incapacità verso qualunque cosa, e soprattutto non meritevole: non meritevole di amore, apprezzamento, riconoscimento.
Il primo passo necessario di cura verso se stessi e verso la propria anima è quello di allontanarsi prima possibile da un ambiente siffatto.
Dopo qualche ora di marcia, arrivò ad una catapecchia la cui porta era socchiusa.
L’anatroccolo si infilò dentro: era la dimora di una vecchia donna che viveva con un gatto ed una gallina. Alla vista dell’anatroccolo, il micio cominciò a miagolare e la gallina cominciò a chiocciare, tanto che la vecchietta, che aveva la vista scarsa, esclamò:
– Oh, una magnifica anatra! Che bellezza, avrò anche le uova… purché non sia un’ anatra maschio!
Il Brutto Anatroccolo mantiene intatto il suo bisogno di fiorire, splendere, amare ed essere amato ma spesso bussa alle porte sbagliate, si sofferma come mendicante in cerca d’amore, bisognoso di una sosta, di un luogo caldo, speranzoso che qualcuno lo possa veramente riconoscere ed accogliere.
Non è così!
Molto spesso ci si accontenta di poche misere carezze perché sono meglio di nessuna carezza anche se in cuor nostro sappiamo che non è ciò che vogliamo, che quella situazione non ci rende felici e appagati ma l’idea di rimetterci in viaggio, solitari, smarriti, infreddoliti, trattiene la nostra partenza provocando ulteriori lacerazioni alla primordiale ferita accrescendone i danni e prolungandone il risanamento. A volte sembra proprio impossibile ripartire, non si hanno mezzi, risorse interne ed esterne, o le condizioni non sono per nulla favorevoli…
L’anatroccolo ebbe subito una grande voglia di nuotare e scappò lontano da quegli animali stupiti e cattivi.
L’autunno era alle porte, le foglie diventarono rosse poi caddero.
Una sera, l’anatroccolo vide alcuni bellissimi uccelli bianco dal lungo collo che volavano verso i paesi caldi. Li guardò a lungo girando come una trottola nell’acqua del ruscello per vederli meglio: erano cigni! Come li invidiava!
L’inverno arrivò freddo e pungente; l’anatroccolo faceva ogni giorno un po’ di esercizi nel ruscello per riscaldarsi. Una sera dovette agitare molto forte le sue piccole zampe perché l’acqua intorno a lui non gelasse: ma il ghiaccio lo accerchiava di minuto in minuto… finché, esausto e ghiacciato, svenne.
Il giorno seguente, un contadino lo trovò quasi senza vita; ruppe il ghiaccio che lo circondava e lo portò ai suoi ragazzi che lo circondarono per giocare con lui. Ahimè, il poveretto ebbe una gran paura e si gettò prima dentro un bidone di latte e poi una cassa della farina. Finalmente riuscì ad uscire e prese il volo inseguito dalla moglie del contadino.
La cosa peggiore che può accadere all’esiliato è smettere di muoversi, smettere di cercare, di credere, di lottare per se stesso e per la propria fioritura, la propria vera nascita. Il ghiaccio a volte è rotto dall’esterno, da qualcuno o qualcosa che per un attimo porta ristoro durante l’esilio quando proprio si può fare più freddo. La reazione sarebbe aggrapparsi a queste àncore e rimanerci aggrappati ma ciò che la nostra anima vuole più di ogni altra cosa è reggersi sulle proprie gambe, trovare da sé il proprio terreno, radicarsi, fino in fondo e crescere forte, fiera, rigogliosa.
Ancora una volta il brutto anatroccolo scappò ben lontano per rifugiarsi, esausto, in un buco nella neve.
L’inverno fu lungo e le sue sofferenze molto grandi… ma un giorno le allodole cominciarono a cantare e il sole riscaldò la terra: la primavera era finalmente arrivata!
L’anatroccolo si accorse che le sue ali battevano con molto più vigore e che erano anche molto robuste per trasportarlo sempre più lontano. Partì dunque per cercare nuovi luoghi e si posò in un prato fiorito. Un salice maestoso bagnava i suoi rami nell’acqua di uno stagno dove tre cigni facevano evoluzioni graziose. Conosceva bene quei meravigliosi uccelli! L’anatroccolo si lanciò disperato verso di loro gridando:
– Ammazzatemi, non sono degno di voi!-
Improvvisamente si accorse del suo riflesso sull’acqua: che sorpresa! Che felicità! Non osava crederci: non era più un anatroccolo grigio… era diventato un cigno: come loro!!
I tre cigni si avvicinarono e lo accarezzarono con il becco dandogli così il benvenuto, mentre alcuni ragazzi attorno allo stagno declamavano a gran voce la sua bellezza e la sua eleganza.
Mise la testa sotto le ali, quasi vergognoso di tanti complimenti e tanta fortuna: lui che era stato per tanto tempo un brutto anatroccolo era finalmente felice e ammirato.
Molti sono i benefici dell’esilio: solidità, fermezza, capacità di essere assertivi, di riconoscere i propri bisogni, i propri confini… forza, coraggio… di dire sì quando e sì e no quando è no, di capire quando è il momento di cedere a un compromesso, capacità di sentire quando ci si sta dedicando poco spazio, poche attenzioni, poco tempo, poco alimento per fiorire. Si smette di cedere ai lamenti, si cercano strategie, risorse e strumenti sani che facciano vivere nella solidità di se stessi.
Ma non appena l’anatroccolo, ormai cigno, trova i propri simili, non può credere di non venire ancora una volta aggredito, maltrattato, sbeffeggiato, quasi si prostra al rituale copione che invece non arriva, al contrario, lascia il posto a complimenti, apprezzamenti, ammirazione.
L’incapacità di accettare un complimento sincero dà la misura più affidabile di quanta parte della vita ha passato come brutto anatroccolo. Spesso un complimento viene accolto con grave imbarazzo perché scatena un dialogo automatico quanto sgradevole nella mente dell’esiliato.
Questo è dunque il lavoro finale dell’anatroccolo in esilio: non solo accettare la propria individualità, la propria identità specifica, ma anche la propria bellezza, la forma della propria anima che trasforma noi e tutto quanto tocca
– Clarissa Pinkola Estés –
Clarissa Pinkola Estes nel suo libro “Donne che corrono coi lupi” ci ricorda che ci sono ora altri due passaggi a cui verrà chiamato/invitato il giovane cigno:
- a) il primo l’affrontare una volta per tutte la martellante e tormentosa domanda:
ma come ci sono finito io in una famiglia del genere?
Smettere, quindi, di riportare ogni evento dannoso, doloroso e frustrante a questo causa.
Smettere di ricercare in lungo e in largo una spiegazione sufficientemente razionale e filosoficamente accettabile per giustificare o spiegare quelle circostanze perché di risposte potrebbero essercene tante come nessuna.
La psicoanalista solitamente propone alle sue pazienti 3 possibili risposte.
- Perché è così. Punto. Risposta alla quale pochissime se non nessuna vuole credere o accedere.
- Perché c’è un significato più ampio che la nostra piccola mente non può comprendere. Risposta già più allettante.
- A causa de “Lo Zigote scambiato“. La Fata degli Zigoti imbattutasi in una turbolenza ha lasciato cadere lo Zigote nella cesta di una famiglia sbagliata. Di seguito le caratteristiche di questa famiglia rispetto a voi:
la vostra famiglia si muove lentamente mentre voi andate come il vento;
loro parlano a voce alta e voi a voce bassa,
o se loro se ne stanno muti, voi cantate.
voi sapete semplicemente perché sapete, loro vogliono le prove e una dissertazione di trecento pagine;
loro vogliono una cosa soltanto .. la coerenza. Vogliono che siate oggi esattamente come eravate ieri. La coerenza per voi è impossibile perché la forza del selvaggio sta nell’adattarsi al cambiamento, nella capacità di rinnovarsi, di danzare, di urlare, di ringhiare…
– Clarissa Pinkola Estés –
- b) Vi è infine un’altra questione cui deve attraversare il giovane cigno, un’altra, ultima sfida: smettere di vivere da superstite. È tempo quindi di andare oltre una vita di sopravvivenza e vivere veramente e fiorire. Smetterla di identificarsi con il sopravvissuto e utilizzare tutte le energie per creare una vita piena, rigogliosa, all’altezza di sé stessi, dei propri ideali, desideri e sogni. Fiorire seguendo finalmente, spontaneamente e con fiducia la propria natura alla quale ora si da riconoscimento amore e rispetto.
Veronica L.